La mia casa è… dove si fa teatro

Ha ragione Carlotta Sami, portavoce UNHCR per i rifugiati, quando dice che a volte, per abbattere i muri del pregiudizio, basterebbe guardarsi  negli occhi. Nella preparazione dello spettacolo La mia casa è dove sono in scena il 28, 29 e 30 luglio al Castello D’Albertis, a Genova, è avvenuto, e anche molto di più, se ora lo spettacolo è diventato un po’ la nostra casa. Un processo di avvicinamento durato circa 3 mesi. Lento, scandito da incontri, laboratori, e soprattutto scambio, conoscenza, dialogo. Chi dice che l’integrazione – termine che ai migranti e agli operatori di settore piace poco, ma è ancora il più usato – si realizza soprattutto nel tempo libero, ha ragione. Soprattutto se il tempo libero stimola la creatività collettiva, come è stato per questa esperienza, che già nella stesura del copione ha tenuto conto di spunti, idee, confronti. Intorno al libro omonimo di Igiaba Scego, da cui è partita l’ispirazione, tanti giovani di origini diverse o nati in Italia da genitori stranieri si sono confrontati sull’idea di casa, insieme a Emilia Marasco, Omar Rizq, Laura Parodi, Alberto Lasso. Ci sono state lezioni di teatro, danza. Lunghe prove al Museo, per adattare il copione agli spazi, perché tutto fosse fedele all’idea di partenza.

Certo questo richiede investimento, risorse. Se non avessimo vinto il Bando MigrArti MiBACT 2017, non avremmo avuto l’opportunità di lavorare con agio, di portare in scena 20 artisti. Alcuni professionisti di grande esperienza, ma anche giovani talenti a cui i laboratori hanno dato modo di avere fiducia in se stessi, o scoprire una vocazione.

Dare rappresentazione al bello del “viaggio che gli altri ci portano” è sempre stata la mission del SUQ da quando nel 1999 abbiamo fontato l’Associazione e il Festival.  La mia casa è dove sono la rappresenta in pieno, consente il contatto con un ventaglio multiculturale, intergenerazionale, che  nelle lingue spazia dal rumeno al genovese, dall’arabo all’albanese, al persiano, allo spagnolo, al portoghese. E tutti si comprendono, e tutti si preoccupano di farsi capire, con un gesto o uno sguardo, anche senza traduzione.

Semplice, no? Forse no. Ma se il teatro è cura – e io ci credo – tanto più può rappresentare una risorsa per costruire relazioni per far si che non ci sia un noi e gli altri, ma tanti noi.

Un sogno? ma cosa sarebbe la vita senza sogni? E non vale la pena crederci, provarci?

Guardarsi negli occhi, sentirsi partecipi di un processo creativo, questo è il lascito del progetto che ha visto tanti protagonisti che meritano un applauso per l’entusiasmo e l’adesione.
Scopri tutti i nomi nella locandina

Carla Peirolero

Guarda il video dello spettacolo La mia casa è dove sono

(Foto di Luca D’Alessandro)


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