Certosa in viva voce, i vostri racconti in attesa di ritrovarci
Foto tratta di un libro di Maurizio Lamponi
Il Coronavirus ci ha chiusi in casa, ma non ci ha fermati. Perché la distanza fisica non vuol dire distanza sociale. Le idee e le persone, grazie anche alla tecnologia, non si fermano. Trovano nuove gambe e nuovi modi per spostarsi e raggiungersi, pur rimanendo in luoghi diversi. Per questo Certosa in viva voce (del progetto Certosa quartiere condiviso), che prevede la registrazione dei racconti degli abitanti di Certosa, dal vivo, al Mercato Comunale, in questo momento si sposta momentaneamente in rete, in attesa di tornare ad abbracciarci.
Abbiamo chiesto di inviarci testimonianze scritte, fotografie e ne sono arrivate alcune alla nostra email, per raccontare un quartiere tra vecchi e nuovi ricordi: Roberto Cambiaso ci racconta La domenica negli anni ’60; Anna Dea L’Abbate, invece, ci fa immergere in un mondo di antiche botteghe; Enrica Olivieri ci porta tra i Ricordi sparsi del suo arrivo a Certosa, fino a Ernesto Oppicelli e i suoi racconti in zeneize dal sapore di teatro.
E allora, come nelle fiabe belle, vogliamo cominciare questo racconto con il nostro C’era una volta… e portiamo l’orologio del tempo indietro, a quando a Certosa c’era il Nuovo Teatro Ligure. «Un teatro alto come un palazzo di cinque piani, con due gallerie, un loggione, una platea e un palcoscenico ampio. Dove non servivano amplificazioni per far arrivare la voce degli attori fino all’ultima fila», lo descrive quasi rivedendolo prendere vita, Ernesto Oppicelli, classe 1935, certosino doc, attore dialettale e autore di un libro dedicato all’operetta. Siamo nel dopo guerra e questo era il teatro dei suoi esordi: «Quando frequentavo le scuole medie ero stato scelto per interpretare Stanlio, visto il mio fisico smilzo», ricorda. Da qui è passato Gilberto Govi, ma anche cantanti d’opera come Margherita Carosio, «grande soprano dell’epoca passata»; Tito Gobbi e Gino Becchi, «cantanti lirici che si spostavano anche in periferia accompagnati da una piccola orchestra dal vivo».
Il Teatro non visse a lungo. «Quando il Teatro Ligure fu demolito e in quell’area si costruì un grosso edificio, venne anche posto in basso un cinema, il cinema Ligure. Addio alle belle serate del sabato sera, quando la mia famiglia che aveva un negozio di alimentari e, chiusa la bottega, ci si preparava per andare a vedere i film americani degli anni scorsi con i sottotitoli, quelli che arrivavano con anni di ritardo. Li vedevamo sempre dalla prima galleria a sinistra, non so perché, ma papà preferiva quella alla platea centrale. Spencer Tracy era il suo attore preferito». «Nel nuovo cinema Ligure andavo a vedere i film più attuali – ricordo, ad esempio, West Side Story».
Anche il cinema non durò a lungo, oggi in quel palazzo di via Canepari, è arrivato un supermercato. Segno dei tempi che cambiano. Oggi, l’unico teatro che sopravvive è quello della parrocchia di San Bartolomeo di Certosa, della Società Operaia Cattolica, conosciuto come Teatro SOC, che cerca di portare avanti una tradizione d’arte e cultura.
E tra la Certosa di ieri e quella di oggi, Oppicelli preferisce quella di ieri, quando le vie principali erano piene di botteghe e quando fare la spesa era un momento di incontro, senza rulli trasportatori nelle casse. Ma Certosa è anche il luogo dell’incontro di culture diverse che si integrano: «Compro la verdura dal besagnino di via Garello, è un albanese molto educato che vende roba buona e con il quale è un piacere fare due chiacchiere».
E al futuro guarda con fiducia, perché vede, nelle nuove generazioni, «oggi più di ieri», maggior senso di solidarietà e voglia di aiutare gli altri.
Un bel segnale da sotto il nuovo ponte che cresce, dopo il crollo del Morandi.
Se avete una storia da raccontare scrivete a certosa@suqgenova.it o telefonate per chiedere informazioni tel. 329 2054579
Raccogliamo pensieri, aneddoti, immagini per poi scambiarceli dal vivo al Mercato Comunale di Certosa, appena sarà possibile.
#iorestoacasa #CertOSAcontinua #laculturacura